Intervento A.G. 2014

Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti - Roma 

Intervento del delegato regionale della Sardegna in occasione della cerimonia di apertura dell’Anno Giudiziario 2014 – 25 Gennaio 2014.


 

                        La Società Italiana degli Avvocati Amministrativisti porge il suo deferente saluto all’Ecc.mo Presidente della Corte d’Appello, al Procuratore Generale a tutti i Magistrati e Procuratori,  a tutti gli ospiti presenti.

                  Ringrazia in particolare il Presidente della Corte d’Appello per aver dato voce in questa illustre sede istituzionale anche alla nostra associazione.

                  Oggi, nell’occasione dell’inaugurazione dell’Anno Giudiziario 2014, in cui, con tanta sensibilità dall’Ecc.mo Presidente è stato riservato spazio alle associazioni della categoria forense, la nostra Associazione degli avvocati amministrativisti si unisce all’Ordine Nazionale Forense e alle diverse associazioni esprimendo la propria preoccupazione per le paventate negative conseguenze che le recenti novelle normative ad iniziativa del Governo comporteranno alla amministrazione della Giustizia, con l’inaccettabile svilimento del processo civile, nonché del ruolo istituzionale dell’”avvocato”, fino ad ora ricondotto al fondato principio di “ordine pubblico” sancito dalla nostra Costituzione.

                  Dal Governo Monti ad oggi sono state invero adottate diverse iniziative legislative per ridurre il ruolo dell’avvocato a quello di un mero prestatore di “servizi legali” (allegato b del Codice degli Appalti), con lo svilimento della professione forense in duplice forma: ad attività produttiva di mercato e a serbatoio di lavoro per compensare la disoccupazione crescente.

                  In altra circostanza si è avuta occasione di affermare che l’azione di protesta degli avvocati non può essere fraintesa, poiché essi non sono “conservatori” di interessi corporativi e di poteri forti, ostili ai processi di riforma, essi condividono l’esigenza di rendere moderno ed adeguato al nostro tempo l’esercizio della professione e la necessità di rinnovamento degli ordini forensi per garantire un’avvocatura sempre all’altezza del suo compito, meglio preparata, specializzata, con un accesso selettivo in base al merito ed alla concreta capacità e moralità.

                  Sennonchè le diverse misure adottate dal Governo negli ultimi anni -legge di riforma dell’ordinamento professionale forense, disposizioni sulle tariffe forensi, la penetrante fiscalizzazione del processo per tutte le azioni giurisdizionali, con pesanti balzelli di bolli e diritti- sono di senso diametralmente opposto.

                  A tali iniziative, varate tra il 2011 ed il 2012, giunge nel 2013 quella, ritenuta dagli avvocati ancor più aberrante, riguardo alla “giustizia civile”: invero, per talune materie del giudizio di appello e per le cause pendenti da oltre tre anni verrà introdotto il “giudice unico”, nonostante tale giudizio sia stato trasformato sostanzialmente in un giudizio di “legittimità” (quasi un duplicato del ricorso in Cassazione), il quale, invece, richiede, a garanzia del cittadino, la collegialità; peraltro si introduce il c.d. “appello veloce” che elimina completamente per il giudice di appello l’onere di entrare nel merito di quanto deciso dal giudice del primo grado.

                  Viene altresì introdotta la possibilità di censura della causa per “temerarietà”, con solidarietà passiva tra avvocato e cliente, pur senza “motivazione”, lasciando spazio ad una discrezionalità tale da poter sconfinare, potenzialmente, nell’arbitrio.

                          Viene, infine, introdotto un altro pesante balzello –che si aggiunge alla insostenibile fiscalizzazione già imposta (basti pensare che sono stati triplicati importi di bolli e che si è perfino proposto di portare ad euro 24.000,00 il contributo unificato per alcune materie nella giurisdizionale amministrativa)- riguardo alla “motivazione” della sentenza: ulteriore dissuasore per il cittadino ad azionare la propria legittima tutela giudiziaria in pregiudizio all’effettività della giustizia di cui integra l’essenzialità.

                  Si crea così un disequilibrio tra le parti del processo, il quale non solo lede fortemente il principio del contraddittorio (tra parte economicamente forte e parte economicamente debole) ma costituisce una vera e propria aberrazione, ove si consideri che la “motivazione” della sentenza, sia in “fatto” che in “diritto”, sancita dall’art.111, comma 6, della Costituzione, nonché dall’art.6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, è elemento essenziale inderogabile della sentenza, il cui difetto, fino ad oggi, ne comporta la “nullità”: l’obbligo della motivazione assolve alla funzione di assicurare in concreto il perseguimento di diversi principi costituzionali in tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l’indipendenza del giudice e la sua soggezione alla legge, nonché il principio di legalità a garanzia dell’iter logico del giusto processo: con la misura fiscale della “motivazione a pagamento” viene, quindi, gravemente limitata la possibilità di censurare una sentenza incongrua ed illogica a discapito di ogni possibile difesa

                  Inoltre, invece di colmare le distanze tra ordine forense e magistratura, nella dialettica del processo civile, rafforzando il principio di collaborazione tra gli avvocati ed il giudice per “la realizzazione della ragionevole durata del processo” (art.2, comma 2, del D.Lgs. 104/2010 –Processo Amministrativo), in ossequio ad una concezione moderna ed illuminista del processo, viene reso impossibile ogni dialogo.

                  Ma, soprattutto, si viola (oltre il dettato costituzionale ed europeo) l’art.28 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (New York 10.12.1948), adottata dall’Assemblea Generale delle N.U., che, affermando il principio fondamentale di “uguaglianza” quale diritto naturale delle genti, testualmente recita: “Ogni individuo ha il diritto ad un ordine sociale internazionale nel quale i diritti e le libertà enunciati in questa dichiarazione possono essere pienamente realizzati”.

                  Di conseguenza il novello istituto della “motivazione a pagamento” si traduce in denegata giustizia per tutti i cittadini privi di capacità economica, e si palesa come norma di forte carattere classista in violazione dell’enunciato principio di uguaglianza, foriero di una grave ed insanabile discriminazione sociale.

                  Ci riporta, altresì, indietro, nei secoli, nel periodo più oscurantista (profondo Medio Evo) della storia della nostra civiltà, ove si consideri che fin dal 1500 il Tribunale della Rota Fiorentina aveva introdotto l’obbligo della motivazione nelle proprie decisioni, a cui poi hanno fatto seguito quelli di altre città (Bologna, Lucca, Macerata, Ferrara), per poi affermarsi nel nostro ordinamento moderno (nel 1790) con la rivoluzionaria legislazione francese che poneva fine agli antichi sistemi giudiziari della monarchia assoluta.

                  Gli avvocati intendono, perciò, nell’esercizio della funzione civica loro affidata dalla storia e dalla società civile, rappresentare i cittadini il cui diritto alla tutela giudiziaria è stato gravemente menomato, non solo dal detrimento della figura del patrocinatore legale ma anche da altri interventi normativi finalizzati a ridurre drasticamente la domanda di giustizia, inficiati sia di incostituzionalità sia (come insegna il Giannini) da eccesso di potere legislativo,  per  un’azione di Governo espressione di uno Stato che non è degno di definirsi “democratico e civile”.

                          Si confida che nella battaglia contro questa “incivile” riforma del “processo civile” il principio di collaborazione tra ordine forense e ordine giudiziario abbia la sua massima espressione.

 

Cagliari, 25 gennaio 2014

 

 

                                                                                               Silvana Congiu

 

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